Gabriele Merolli

Ciao Gabriele come stai? Che ci racconti?
Ciao LeCool. E’ un grandissimo piacere fare due chiacchere con la vostra redazione. Vi parlo da Barcellona, dove vivo dal 2009. Qui lavoro come fotografo di interni e architettura, con qualche scappatella professionale in altri settori fotografici più o meno vicini.

Che foto ci hai dato come copertina di questo numero? Com’è nata?
Questa foto è stata scattata nel 2008 ad Amsterdam, in un quartiere di case container dove vivono solo studenti. E’ parte di un progetto personale nel quale ho cercato di riportare agli occhi dell’osservatore altri modi inusuali di vivere lo spazio. Vivere nella serialità, nell’assenza di storia, è qualcosa che colpisce molto gli occhi di uno che come me è cresciuto a Roma, abituato ad avere intorno l’eterno marmo. Noi italiani abbiamo un rapporto innato con quello spirito che anima i luoghi anche quando non ci vive più nessuno. E’ il “ Genius Loci” che rimane impregnato nelle pareti invecchiate, nei pavimenti consumati, nelle crepe delle case.

In Olanda non è così. E’ una terra strappata al mare, l’unica al mondo che è stata disegnata in ogni dettaglio dall’essere umano, anche nei suoi elementi naturali.
Il mio lavoro in Olanda si è centrato proprio sull’aprire una finestra verso questi scenari, cercando di non giudicarli. Credo che vivere in un luogo senza storia, come un quartiere di container, sia da una parte molto alienante, però dall’altra parte ci permette di concentrarci di più su noi stessi. Lí siamo davvero noi che facciamo la differenza rispetto al ciò che ci circonda.

Sei una persona che ha vissuto in diversi posti, dai castelli, ad Amsterdam per finire a Barcellona. Questi luoghi hanno cambiato la tua fotografia?
Dopo essere andato via da Roma mi sono trasferito a Conegliano Veneto. Quel contesto industriale mi ha formato parecchio. Ho lavorato per due anni come fotografo in uno studio di tremila metri quadrati e ottantamila watts di luce a disposizione. Finalmente la fotografia si convertiva da gioco a lavoro di equipe. Tutti in studio avevamo un ruolo importante : l’architetto che progettava il set, il falegname che lo costruiva, la stilista che lo decorava e via dicendo. Dopo due anni però il fatto che non fosse un gioco ha cominciato a pesarmi troppo, perchè in quell’ambiente mancava quel po’ di flessibilità mentale. Credo sia davvero indispensabile per fare qualsiasi lavoro creativo. Alla fine della mia esperienza in veneto non vedevo più l’orizzonte e avevo davvero smesso di credere nei miracoli.

Amsterdam mi ha insegnato che la fotografia è davvero un’illusione, e allo stesso tempo uno strumento molto potente per capire il mondo. La fotografia a volte può essere uno strumento terapeutico, come una medicina. Ogni foto che pensi valga davvero la pena aver scattato produce innanzitutto un piacere fisico in te che la scatti.

Barcellona mi sta insegnando che per trovare la tua strada come fotografo non puoi fa altro che buttarti a capofitto in ciò che ti piace. Difficilmente riuscirei a realizzare una foto valida se non mi piacesse davvero il settore fotografico in cui lavoro.

Da una laurea in filosofia alla fotografia. Come sei approdato a questo mondo?
Il passaggio, se c’è stato è stato molto più fluido di quanto non si possa immaginare: si studia filosofia per cercare di capire com’è fatto il mondo intorno a te, e si studia fotografia per lo stesso motivo. La fotografia forse è stata più utile. Scattando capisci che il mondo esiste solo a partire dal momento che c’è qualcuno ad osservarlo, e poi capisci che in base a come lo osservi, cambia. Ma cambia davvero…

Il tuo stile ha un ordine inequivocabile. Tutto è esattamente dove dovrebbe essere, anche ciò che non c’è. Come arrivi a questo risultato? E’ frutto di un istante o di un ragionamento prolungato?
Per me i luoghi a volte parlano più delle persone. E’ il modo in cui li osservi che li fa esistere nel tuo mondo. Nella tua domanda fai riferimento al tempo, e invece è proprio cercando l’assenza del tempo che riesci a formare l’immagine nella tua mente e poi a trasferirla sulla pellicola. Per questo tutto è, come dici tu, proprio dove dovrebbe essere, perchè così è stato immaginato. Ma attenzione, dico immaginato, non pensato! Questa è forse la cosa più difficile: fotografare senza pensare, studiare la tecnica per poi dimenticarsela.

Cosa consiglieresti a chi sceglie di fare questo mestiere?
Conoscere la tecnica e saperla utilizzare è la chiave per essere in grado di fare qualsiasi lavoro fotografico, e quindi la chiave per vivere di questo. Dimenticarla nel momento in cui scatti è fondamentale per consegnare al cliente un lavoro originale.

Che rapporto hai con Roma? Dicci una cosa che ami e una che odi.
Amo il fatto che un perfetto sconosciuto si puo’ convertire nel tuo migliore amico nel giro di 15 minuti. Odio il fatto che molti romani non rispettano nè se stessi nè gli altri.

Dove possiamo vedere i tuoi lavori?
Visitando la mia pagina web: www.gabrielemerolli.com o se invece volete leggere qualcosa fate un salto sul mio blog: http://gabrielemerolli.tumblr.com

Progetti futuri e sogni nel cassetto.
Mi piacerebbe molto lavorare a qualche progetto di documentazione archeologica. Sto cominciando un lavoro personale di mappatura archeologica di una serie di luoghi sacri di epoca preromani che si trovano nei Colli Albani.

Anche se suona un po’ romantico il mio sogno nel cassetto è invece vivere in campagna e lavorare quasi esclusivamente su incarico di qualche agenzia fotografica. Così si evita lo stress della città e si riduce tutta la parte amministrativa e commerciale del lavoro, una grandissima perdita di tempo dal punto di vista strettamente fotografico.

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